SHOCHU | DISTILLATO
Lo shochu è considerato un po’ il brandy del Giappone, in quanto si tratta anch’esso di “vino bruciato”. È un distillato che può provenire da differenti materie prime, a seconda della regione in cui viene creato. Il riso è la sostanza principalmente utilizzata, mentre possono essere impiegati anche: orzo, grano saraceno, castagne, canne da zucchero o patate. Il temporaneo abbandono del riso avvenne a partire dalla Seconda Guerra Mondiale, quando, a causa della sua scarsità, si cominciò a ricorrere ad altre componenti, che poi sono rimaste in uso anche dopo la fine del conflitto.
Non è chiaro se la conoscenza della distillazione da parte dei nipponici trovi le sue origini nell’antica Persia, che di conseguenza influenzò la Cina, per arrivare in Giappone, oppure se furono gli olandesi a permettere di dare seguito a questo processo. Si presume che il shochu sia nato nel 1500 a Kagoshima, quando si hanno prove che già esistesse un distillato di riso.
Dal punto di vista produttivo, lo shochu, dopo essere stato distillato, a discrezione, per una o due volte, viene messo a riposo in recipienti di legno o di acciaio per un periodo di circa 3 mesi, che ne normalizza il grado alcolico. Con una singola distillazione si ottiene una bevanda di circa 25 gradi, mentre, procedendo con una doppia, si arriva anche ai 40, rimanendo comunque ben sotto quelli che sono i canoni europei, è per questo che per la commercializzazione del distillato si procede con tecniche atte ad aumentare la gradualità.
Per quanto riguarda l’invecchiamento, nel caso di un prodotto di pregio, si lascia riposare il liquido per tre anni in contenitori di legno. Lo shochu di maggiore qualità è l’Awamori di Okinava, il cui invecchiamento prevede uno stazionamento per dieci anni all’interno di grotte. Si tratta di un prodotto allo stesso tempo molto corposo e saporito.